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La valle

Il Gioiello nascosto nel cuore del Bellinzonese

La Valle Morobbia non s'incontra così per caso, occorre cercarla! Nella conca bellinzonese il visitatore occasionale che guarda ad est ha l'occhio attratto dalla collina sopra Giubiasco e crede che tutto finisca lì: al di là del promontorio, dove numerose villette sono disseminate fra vigneti e castagneti, il paesaggio sembra infatti chiudersi. E invece la Valle Morobbia si apre proprio qui, con i suoi piccoli villaggi ridenti che sbirciano da lontano il Piano di Magadino e più oltre, il lago.

La strada cantonale che sale da Giubiasco, sinuosa ma agevole, dopo le località di "Sasso Piatto", dei "Motti", di "Lôro", tutte frazioni collinari del borgo e dopo il comune di Pianezzo, il più popoloso della valle, ancor affacciato sul terrazzo, con la sua frazione di Paudo posta su un balcone montano, continua per complessivi 12 chilometri. Sul versante destro tocca successivamente gli abitati di Vellano, Riscera, Carmena, Melera, Melirolo e Carena, che insieme formano l'alto comune della Valle, Sant'Antonio. A Carena, 1058 metri sul livello del mare, la strada si ferma.

Sul versante opposto, vi è la zona dei "monti". Le antiche cascine del bestiame, sottratte al loro uso rurale siccome l'agricoltura e l'allevamento sono in pratica scomparsi, sono state trasformate e destinate a soggiorno di vacanza e di svago per la popolazione indigena. Sono raggiungibili solo a piedi, per sentieri che dai vari nuclei, scendono al fondovalle per poi risalire sul ripido versante opposto. Il fiume Morobbia scorre incassato e nascosto. Alimenta a metà valle il bacino di accumulazione di Carmena che fornisce elettricità ai comuni del Bellinzonese.

La vasta rete di sentieri, come quelli che si dipartono da Carena verso l'Italia e il lago di Como, attraverso il passo del San Jorio (che fu importante via di comunicazione), verso il Camoghè a sud, verso gli alpeggi del Gesero a nord, offre molte possibilità di escursioni.

La Valle Morobbia non è ricca né di tradizioni né di storia con le quali collegare il passato al presente. Agli inizi del secolo subì, come la maggior parte delle valli ticinesi, gli effetti negativi dell'emigrazione. Numerosi "morobbiotti" partirono per cercare lavoro un po' in tutta l'Europa e perfino in Australia. La meta privilegiata restò tuttavia la California, considerata l'Eldorado da chi cercava fortuna, ma che invece vi trovò assai più spesso solo duro lavoro come bracciante o guardiano di mandrie (Cow Boy), privazioni e miseria. A casa restavano, con i vecchi, le donne che avevano il gravoso compito di allevare la famiglia e di mantenere in vita quella magra attività agricola e pastorizia, con miseri guadagni.

Era di contro fiorito un contrabbando che in quella fase si poteva definire "romantico" e sopperiva alle necessità di sopravvivenza, non solo della popolazione locale, ma di tutto il distretto. Era esercitato per lo più da gente del posto, utilizzava la vecchia via pedestre del San Jorio, che nei secoli era caduta in disuso e favoriva il commercio fra i due versanti del confine. Infatti, s'importavano riso, pasta, salumi, stoffe e tappeti in cambio di sigarette, sale e caffè. Sulle difficoltà di questo commercio molto è stato scritto e non mancano gli episodi, taluni singolari, altri drammatici, che avvenivano al di qua e al di là del passo. Molti e ingegnosi gli stratagemmi usati per eludere i controllo delle guardie di confine che, peraltro, talvolta chiudevano "un occhio". Questo contrabbando durò fino alla fine della seconda guerra mondiale quando le aumentate possibilità di approvvigionamento lo resero gradatamente inutile. Si continuò per un certo tempo con il contrabbando di sigarette, organizzato da qualche ristoratore locale, ma anche da rappresentanti di tabacco che si occupavano di preparare le "bricolle", i pesanti pacchi da affidare agli "spalloni".

L'operazione avveniva direttamente sulla piazza di Carena, sotto gli occhi dei doganieri svizzeri, che non avevano nulla da obiettare poiché per il nostro Paese questo commercio era considerato regolare. Diversa l'accoglienza sul versante italiano dove le spedizioni notturne ebbero talora anche esiti fatali. Dopo qualche anno, il contrabbando preferì canali più facilmente accessibili e meno rischiosi e quest'attività cessò.

Nel dopoguerra, le condizioni di vita migliorarono e così pure le possibilità di lavoro, particolarmente nel pubblico impiego a Bellinzona e Giubiasco (nelle Ferrovie federali svizzere, in Posta, nell'Amministrazione cantonale), nelle nuove industrie del borgo (Linoleum -ora Forbo-, cappellificio, Ferriere Cattaneo) e nelle altre attività commerciali che man mano si erano installate sul Piano di Magadino.

La Valle Morobbia, benché finora non sia particolarmente orientata verso il turismo, può arricchire l'offerta cantonale in questo preciso settore, offrendo un territorio in gran parte incontaminato. I suoi boschi coprono una superficie di 3'500 ettari. Ci vive una fauna eterogenea, con colonie anche spettacolari di camosci, cervi, caprioli. Una fitta rete di sentieri, di oltre 90 chilometri, percorre il territorio. Da Carena, l'ultimo villaggio, si può raggiungere la zona degli alpeggi. Qualcuno oggi è abbandonato, ma non Giumello, l'alpe modello dello Stato, dove si produce un formaggio di gran pregio. Si può proseguire verso il Passo del San Jorio (2'012 m/sm) e passare nella vicina Italia per arrivare a Garzeno e a Dongo, sul lago di Como. Un'ulteriore possibilità è di scendere ad Arbedo e a Roveredo, nel vicino Cantone dei Grigioni, attraverso l'Alpe del Gesero

Tratto dal libro "Il sapore del tempo - La valle Morobbia" di Silvano Codiroli.